Di Gloria Sahbani
Anni fa conobbi un ragazzo così appassionato di calcio che le vittorie e le sconfitte della sua squadra del cuore erano da lui vissute con un’intensità tale da lasciare esterrefatti, come se lui fosse il cuore pulsante di ogni giocatore. Lo osservavo guardare le partite e avevo l’impressione che fosse talmente parte integrante della squadra da potersi lanciare benissimo dentro il televisore e ritrovarsi nel grande campo a lottare per il possesso palla. Il ragazzo era estasiato, incollato allo schermo con lo sguardo: stava provando una Sindrome di Stendhal in versione sportiva.
Per anni l’ho osservato gridare, ridere e deprimersi durante le partite. Un giorno, ho deciso di fargli alcune domande sulla sua grande passione. Ciascuno dà alle proprie passioni un’importanza soggettiva e per lui il calcio aveva un’importanza sublime.
Gli chiesi perché amasse così tanto il calcio. Quel ragazzo, visibilmente emozionato, mi disse:
La palla è il gioco più semplice che i bambini possano ricevere; è poco dispendiosa. Non importa se è una palla da basket, da pallavolo o da calcio. La palla porterà il bambino o la bambina a costruire un sogno. I bambini guardano i grandi giocatori in televisione e fantasticano di poter fare come loro. Il calcio mi piace perché è pieno di emozioni. Non ci sono undici coglioni che corrono dietro ad un pallone: dietro undici coglioni ci sono molte persone che li seguono perché non lo ritengono uno sport qualunque.
Chiesi ancora: perché la gente guarda più il calcio di altri sport, secondo te?
Beh, il calcio non esclude gli altri sport, ma se in tanti lo guardano un motivo c’è. Forse è il più appassionante, perché le regole sono comprensibili a tutti e anche chi non lo segue spesso, può seguire una squadra in particolare o capire il funzionamento di questo sport. Però c’è anche un altro aspetto positivo: il calcio, per certi versi, è come la politica. Ognuno dice la sua, ognuno ha una sua verità e un determinato modo di vedere le cose. Con qualcuno fa piacere discutere, con qualcuno non vuoi parlare, con qualcuno ci litighi. Il calcio è molto opinabile e forse per questo alla portata di tutti.
Dopo diverse domande, infine chiesi: perché molti dicono che il calcio è poesia?
Perché guardare la tua squadra del cuore ogni minuto e ogni secondo, essere tesi, sperare nelle Coppe Italia, nelle Champions, nei Mondiali, gioire insieme agli amici che tengono per la stessa squadra… sono sentimenti indescrivibili che ti porti dentro. Ti fa battere forte il cuore. Non per niente c’è il detto: “Sei più bella di un gol al 94’!”. Il calcio, per un tifoso, è tutto: è come un grande amore e l’amore è poesia.
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Il confine tra sport e arte, e in particolare tra calcio e produzione artistico-letteraria, non esiste. I confini sono solo nella mente di coloro che pongono ostacoli alle possibilità, ma la poesia non si sottomette agli impedimenti. La poesia è figlia della libertà e in questa maestosa libertà risiede la sua possibilità di unirsi a qualsiasi forma di sentimento universale, sia esso un’alta espressione dello spirito o una genuina felicità da stadio.
Chi può giudicare quale sentimento è più autentico? Nessuno, non ci sono sentimenti falsi, ma solo sentimenti DIVERSI.
In merito al potere letterario del calcio e dello sport in generale, uno dei più grandi giornalisti sportivi odierni, Darwin Pastorin, disse in un’intervista [contenuta nell’ebook “Solo un gioco? Una contro-storia dei Mondiali di Calcio”, redazione di InfoAut.org, Giugno 2018]:
Non esiste confine tra calcio e arte. Tra sport e arte. D’altra parte, quando noi parliamo del football brasiliano sottolineiamo la bellezza e l’innocenza di un’emozione che ha, indubbiamente, che fare con la musica e la letteratura. Jorge Amado mi disse, nel 1993, nel corso di una intervista per “Tuttosport”: “Sono realmente un appassionato di calcio. Il calcio è qualcosa di più che un semplice sport: è, allo stesso tempo, arte. Una buona partita di football rappresenta uno spettacolo straordinario di danza, con la caratteristica di trattarsi di una danza improvvisata in ogni suo momento da ventidue ballerini. Accade, a volte, che uno di questi ballerini abbia il virtuosismo di Pelé o di Garrincha, di Didi o di Nilton Santos, di Domingos da Guia o di suo figlio Ademir: e così lo spettacolo diventa incomparabile”. E ci fu la felice intuizione di Pier Paolo Pasolini, che giocava all’ala destra, tifava per il Bologna e non perdeva occasione per tirare due calci a un pallone: “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”. Disse queste cose nel 1970, al giornalista Guido Gerosa. Serve aggiungere altro?
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No signor Pastorin, non penso serva aggiungere altro.
Le compenetrazioni calcio-poesia/ calcio-letteratura/ sport-letteratura sono state spiegate attraverso le parole di un giornalista professionista e di un ragazzo tifoso.
Entrambi, nonostante le loro vesti differenti, ci hanno fatto comprendere che il calcio in particolare, così come lo sport in generale, può essere poesia. E la poesia, come il calcio, è opinabile per tutto, tranne per una sola certezza: i sentimenti personali non sono giudicabili.
Dunque se il calcio suscita grandi sentimenti e i sentimenti, che non sono giudicabili, sono il magma della poesia, allora il calcio è poesia.