La magia delle cose

Qual è la realtà che ci circonda?

Come possiamo definire un confine tra cosa è reale e cosa non lo è?

Possono sembrare delle domande banali, eppure non è facile rispondervi.

Si parla sempre più spesso dell’introduzione nel quotidiano del metaverso come “un’ipotetica iterazione di Internet come un unico mondo virtuale universale e immersivo, facilitato dall’uso di cuffie per la realtà virtuale e la realtà aumentata”, quindi di un mondo futuro (neanche poi così lontano) dominato dall’intelligenza artificiale, in cui la nostra esistenza potrebbe diventare anche “fisicamente” virtuale, attraverso l’utilizzo di un avatar.

Non è fantascienza, ma una realtà alla quale si stanno già affacciando le più grandi aziende, come Meta e Microsoft.

La risposta del filosofo coreano Byung- Chul Han

Quando è stata l’ultima volta in cui ti sei fermato a guardare un paesaggio e a cercare di osservarne ogni dettaglio senza doverlo immortalare?

Quando è stata l’ultima volta in cui hai fatto qualcosa per te stesso, senza bisogno dell’approvazione o dell’osservazione di qualcuno come forma di riconoscimento sociale?

Quando è stata l’ultima volta in cui hai goduto di un momento con una persona cara (un genitore, un amico, il partner), senza dover controllare le notifiche del cellulare?

“Non abitiamo più la terra e il cielo, bensì Google Earth e il Cloud. Il mondo si fa sempre più inafferrabile, nuvoloso e spettrale. (…)

È necessario tornare a rivolgere lo sguardo alle cose concrete, modeste e quotidiane. Le sole capaci di starci a cuore e stabilizzare la vita umana.”

È interessante notare come Byung-Chul Han, autore di questo testo e di molti altri libri che stanno diventando dei classici nel campo della filosofia contemporanea, parli del nostro allontanamento dalla realtà partendo proprio dall’immagine di smaterializzazione, ossia la liberazione dal legame col mondo materiale, e dalla dematerializzazione, ovvero la conversione dei documenti dal cartaceo al digitale.

Stiamo, quindi, passando dall’avere rapporti con le cose ad avere una relazione con le non cose.

Siamo circondati da informazioni incorporee ed intangibili, delle quali fruiamo continuamente senza assorbire nulla. Non c’è tempo per la verità, la comunicazione è dominata da impulsi, comunichiamo continuamente senza dire nulla.

Il capitalismo delle informazioni è la forma più evoluta del capitalismo.

Non abbiamo tempo e concentrazione per le cose durature, per creare del legami, dei ricordi con il mondo circostante.

“I legami sono inattuali. Sminuiscono la possibilità di fare esperienza, ovvero la libertà nel senso consumistico del termine. (…)

Più la cultura diventa merce, più si allontana dalla propria origine. (…) Una volta divenuta merce, la comunità cessa di esistere.”

Come cambiare la nostra veduta delle cose?

Photo by Lukas Rychvalsky on Pexels.com
  • Recuperare le cose del cuore.

Quando avevo 13 anni, mio padre mi regalò un lettore CD. Era un dispositivo portatile che, diversamente dal walkman che stava già scomparendo, mi permetteva di poter ascoltare la musica in giro, con gli auricolari. Riascoltavo interi album più volte, tracce che ancora adesso ricordo a memoria, finché i dischi non si graffiavano e si usuravano.

La mia libreria è piena di ricordi. Ogni libro è legato ad un determinato periodo della mia vita.

Non so se vi è mai capitato di entrare nella casa della nonna ed esaminare tutti gli oggetti accumulati in una vita. Quadri, foto, cianfrusaglie all’apparenza inutili. Sentire gli odori delle persone care impressi nei vestiti. O i giocattoli di quando eravamo piccoli, che rimandano a sensazioni tattili associate a quel pezzo di stoffa o a quel pupazzetto di plastica, che noi consideravamo oggetti viventi.

Ne Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Euxupéry c’è una scena molto bella che simboleggia la creazione di un legame: quella in cui la volpe chiede al principino di essere addomesticata.

Oggi le cose del cuore sono rare e cedono il passo agli articoli usa e getta.

Anche il rapporto con la natura, così come quello con le persone o le cose, è strumentalizzato all’utilizzo delle risorse e non ad instaurare un legame con l’ambiente circostante.

  • Ritornare ad apprezzare il silenzio

“C’è un motivo se abbiamo due orecchie e una sola bocca: per ascoltare il doppio di quanto parliamo”

Epitetto

In un tempo in cui ognuno produce se stesso, ne abbiamo troppo poco per ascoltare.

Secondo Byung-Chul Han, viviamo in un tempo senza consacrazione.

Lo stare in ascolto rappresenta un atteggiamento religioso che noi non conosciamo più. Nulla si approfondisce. Mille stimoli ci portano a non riuscire a sviluppare un’attenzione profonda verso qualcosa, la comunicazione estensiva distrae l’anima.

Tutto è a nostra disposizione. Vogliamo condividere tutto con gli altri. Creiamo contenuti per piacere ad altre persone.

Il silenzio è spirituale, ci ritira dallo schiamazzo dell’autoproduzione.

“Tutto ciò che s’affretta è condannato alla scomparsa… è il silenzio a salvare.”

Tutto resta

C’è una canzone di Rocco Hunt che recita queste parole:

non c’è nulla che si può dimenticare, tutto resta/ amiamo con la testa per non farci male/ il tempo non ci cambia, rivela ciò che siamo/ lo sai, ciò che trascuri non ritornerà.

Tutto nella nostra vita rimane, come un arazzo nel quale tanti fili diversi vanno ad intessersi per costruire una trama. Gli oggetti non fanno parte delle nostre vite in quanto cose, materialmente o immaterialmente utili, ma in base al valore che noi diamo loro come strumenti per connetterci alle nostre vite.

Questa lettura fa ripensare a quanto l’utilizzo della tecnologia, da un lato, ci abbia fatto perdere la magia delle piccole cose, in quanto ormai abituati ad avere tutto e a non stupirci più di nulla.

Una magia che fa da sempre parte dell’essere umano.

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