Chi non si è mai rivisto all’interno del libro che stava leggendo?
La letteratura contemporanea è un mezzo per porci delle domande sul significato della vita. Attraverso la narrazione di un romanzo, infatti, possiamo riconoscerci, ritrovare parti di noi e, attraverso di esso, provare a esplorare la nostra storia personale, come hanno fatto queste tre autrici: Lorenza Gentile, Annie Ernaux e Sophie Kinsella.
Quali titoli avranno meritato questo tipo di riflessioni? Scopriamolo di seguito.
TUTTO IL BELLO CHE CI ASPETTA, LORENZA GENTILE, 2024.

Ho adocchiato questo libro nella Mondadori in Duomo a Milano, attirata dal titolo. La vetrina principale è sempre ricca di nuove uscite e la selezione si fa ammirare sia dall’ interno che dall’ esterno. Una copertina bianca e spessa, ma di cartoncino morbido e pieghevole, avvolge una rilegatura di circa 300 pagine, rendendo il libro facilmente maneggiabile.
La trama narra la storia di una trentacinquenne milanese, proprio come l’ autrice, che si trova a fare un bilancio della propria esistenza “in negativo”. Sì, in negativo proprio come il suo conto corrente, a causa di un’ attività ristorativa fallimentare, che vorrebbe riflettere le ultime tendenze del lifestyle della Milano bene, ma che si ritrova ad essere uno dei tanti locali clone e senz’anima. Così Selene, la protagonista, in preda all’ennesimo momento di sconforto nel quale vede la sua vita andare in pezzi, dove nulla sembra andare per il verso giusto, decide di compiere una scelta apparentemente insensata. Prende la sua auto sgangherata e scappa, nel giro di una notte, attraversa l’Italia fino ad arrivare in Puglia, nei pressi della Valle d’ Itria, sperando di lasciarsi alle spalle una vita che lei considera sbagliata e dalla quale non sa come uscirne. Si reca nel paesino dove aveva trascorso l’ infanzia, vivendo in un ashram, una comunità religiosa induista, assieme alla sua e ad altre famiglie.
Qui ritrova la sua vecchia tata, Flora, con la quale riscopre il piacere e l ‘amore per la tavola: proprio lei, che a malapena riusciva a nutrirsi, si trova a comporre un libro di ricette e ad illustrarlo. Riallaccia i rapporti con i suoi compagni d’ infanzia, che hanno preso strade diverse, e riscopre il tempo per i suoi familiari, seppur fisicamente distanti. Lei, che aveva scelto di lasciare la Puglia per tornare a vivere a Milano con la madre, si era sempre chiesta se, in fondo, avesse fatto la scelta giusta.
La narrazione è ricca di spunti di riflessione filosofici e meditativi, d’ impronta orientale, che danno alla storia di Selene e al suo percorso di vita un forte impatto spirituale. Selene, infatti, riesce a scoprire la sua strada nel momento in cui lascia andare le cose come devono andare, quando riesce ad accogliere ciò che è la sua vita in quel momento, nel bene e nel male.
Quante volte capita di chiedersi: se avessi agito in maniera differente, le cose sarebbero forse andate in modo diverso? La verità è che nessuna scelta è un errore, si è solo vissuto in base a come si era in quel momento. Quando Selene si rende conto di questo, e riesce ad accettarlo, trova in realtà la chiave per capire che è diventata la persona che avrebbe dovuto essere nel presente.
Questo libro mi è piaciuto molto, in quanto capita a tutti di fare il proprio bilancio “in negativo” e non sapere bene come uscirne. Non esiste una soluzione, ma solo l’inzio di un percorso che porta al cambiamento, a cominciare proprio da sé.
Senza svelare il finale, il messaggio positivo che regala è che, in qualsiasi momento si può ricominciare e accogliere “tutto il bello che ci aspetta”.
IL POSTO, ANNIE ERNAUX, 2023.

Annie Ernaux, classe 1940, ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 2022. Da allora, con grande gioia, tutta la sua narrativa è stata ripubblicata da “L’ Orma” Editore, in una serie di volumi dai colori sgargianti. Immergersi nella scrittura di quest’ autrice francese è davvero un dono: riesce, infatti, a ripercorrere attraverso il proprio vissuto, la storia collettiva di più generazioni, a partire dal XX secolo. Ho avuto il piacere di leggere molti dei suoi testi e di iniziare a collezionarli, ma oggi vorrei soffermarmi su quello che viene considerato un classico contemporaneo, uscito per la prima volta nel 1983, e chiamato “Il posto”.
La storia è autobiografica, e parte da un evento preciso, ovvero dal funerale del padre dell’ autrice, per poi andare a ritroso e ricostruirne i tratti peculiari di quando era in vita. Racconta la storia di un uomo semplice, di umili origini, e della sua scalata sociale nel dopoguerra: prima contadino, poi operaio, e infine gestore di un’ attività commerciale di quartiere.
Nonostante questa evoluzione sociale, interiormente, la sua famiglia continua a portare lo stigma della” nuova borghesia”, di una vera e propria classe sociale spesso malvista, o vista con un certo disincanto; un tentativo di entrare a far parte di un mondo di agiatezza superiore che, però, nemmeno loro percepiscono come “proprio”, a causa di un diverso modo di vivere. Sotto la felicità apparente, Annie descrive “l’ irrequietudine di un agio conquistato a fatica“: la percezione di un senso di inferiorità da tenere nascosto, il timore di sentirsi sempre fuori posto e di essere giudicati dagli altri come gretti nei modi di fare.
La stessa Annie, all’interno di questo contesto, riesce ad emanciparsi attraverso il proprio percorso di studi, diventando poi insegnante. Sente di allontanarsi sempre di più da questo modo di pensare, da un modo di vedere le cose che considera ormai antico e che genera più di un’incomprensione nel rapporto con i propri genitori. Quel modo di essere, per lei, diventa incomprensibile, così come suo padre, non abituato a parlare dei propri sentimenti ad un livello profondo. Si affranca lentamente dalle proprie origini, attraverso un significativo processo di scoperta personale, continuando però a cercare all’interno della società, forza e debolezza di una generazione perduta.
I libri di Annie Ernaux sono profondamente introspettivi, in quanto si tratta di un modello di narrazione autobiografica per eccellenza e, non a caso, letta e studiata in tutto il mondo. La adoro in quanto, leggendo i suoi pensieri, le sue descrizioni, dalla più banale alla più seria, diventa impossibile non immedesimarsi all’interno della sua vita come un qualcosa di personale e collettivo. Attraverso la scrittura, si pone delle domande e si dà delle risposte, scavando a fondo, come solo le persone coraggiose sanno fare.
COSA SI PROVA, SOPHIE KINSELLA, 2024.

Il terzo titolo di questo filone ” esistenziale” è quello di Sophie Kinsella, la sua ultima uscita intitolata “Cosa si prova”.
È un breve memoir che affronta un periodo particolarmente difficile per l’ autrice, madre di 5 figli: la scoperta di avere un cancro al cervello, il successivo intervento chirurgico, e la terapia medica e farmacologica che ne è conseguita. Il tutto viene affrontato in chiave ironica, com’ è tipico della creatrice di “I love shopping”, una delle saghe di maggiore successo di narrativa contemporanea.
Sophie, il cui vero nome è Madeleine, si interroga su come sia possibile che la propria vita, così come la ricorda, possa essere stata spazzata via in un attimo e su come tutto possa essere cambiato drasticamente in un istante. Proprio lei, che ha sempre avuto tutto ciò che poteva desiderare: fama, successo, ricchezza, una splendida famiglia. Lei che, grazie al suo cervello, è diventata un personaggio da red carpet, adesso, proprio a causa del suo stesso organo, sta vivendo una situazione di profondo malessere. L’incredulità è la sensazione che pervade tutto il racconto: incredulità per non riuscire più a fare le stesse cose di prima.
Nella prospettiva di non sopravvivere, che non prende mai davvero in considerazione in quanto psicologicamente distruttiva, non si trova a desiderare una lista di cose sensazionali da fare, ma a riavere la sua vita di prima, una vita che lei considerava normale. Il suo desiderio è mangiare un’ ottima marmellata d’arance, stare seduta sul divano con marito e figli, e guardare una serie tv. Un giorno tanto ordinario quanto straordinario.
In questo libro, diversamente dagli altri scritti da lei, c’ è un unico lieto fine: andare avanti. Questa è l’unica vera vittoria per chi riesce a sopravvivere al malessere, che non risparmia nessuno, a prescindere dall’ estrazione sociale e dallo stile di vita. Mi è piaciuto in quanto descrive sensazioni che chiunque abbia vissuto una vera e propria tragedia si trova a provare: il desiderio di riavere la vita di prima e, se no, almeno di poter ricominciare.
Ritrovare una rinnovata quotidianità, una vita normale,” ma meglio”. Una vita normal plus.
