Inno alla morte

Magia, morte, Psiche. In occasione della festa di Ognissanti e della giornata dedicata ai defunti, parliamo di alcuni dei temi affrontati da Emanuele Trevi nel suo nuovo romanzo “La casa del mago” (che mi hanno fatto riflettere…)

La luce in mezzo al buio.

La fiamma che risplende per ritrovare la strada.

La candela accesa nell’oscurità.

Il calore, la presenza.

Quante volte, durante i periodi difficili, vorremmo percepire questa luce che ci porta alla fine del percorso come vincitori: cambiati, migliori, più forti. Quante volte vorremmo risalire senza farci trascinare giù dalla nostra mente, dai suoi oscuri meandri, avendo la sensazione di essere in un labirinto senza via d’uscita. Quell’entità che Jung chiamava inconscio.

… nella nostra esistenza non c’è nessun punto di equilibrio, nessun compromesso di forze contrarie da augurarsi. O si procede verso la luce, o si viene tirati giù: nel buio mitologico o nel regno delle immagini. Lì in fondo, con la pazienza di chi ha a disposizione tutto il tempo che la mente umana è in grado di concepire, c’è un mostro insaziabile che spalanca le sue fauci, una Madre nefasta, un fiore carnivoro irrorato dal sangue dei suoi figli. Non si può rimanere fermi.

Sto parlando di una sfumatura del romanzo “La casa del mago”, che Emanuele Trevi ha dedicato a suo padre, famoso psicanalista junghiano mancato nel 2011, e che affronta proprio l’idea di come l’anima umana sia difficile da curare e di come il confine tra realtà e follia sia davvero molto sottile.

Emanuele si ritrova a traslocare nella casa che era del padre (il mago, il curatore di anime) e questa situazione lo porta a vivere una serie di aneddoti bizzarri e a tratti magici.

È un libro che io definirei governato da forze strane, opposte ed indomabili, proprio come quelle che governano la vita.

Direi che rappresenta una prospettiva quasi “fatalista”, se non fosse che in realtà proprio il protagonista si interroga sulla vita di suo padre e sugli accadimenti che si verificano da quando lui prende possesso di quella dimora, fino a quel momento sconosciuta, ed inizialmente inospitale.

Un percorso che lo porta ad identificare la casa come la dimora dentro se stesso che aveva cercato di ignorare per anni e con la quale tutti, prima o poi, dobbiamo fare i conti.

Accettare la morte significa…

Photo by Michele Petruzzelli on Pexels.com

In occasione della festività di Ognissanti (Primo novembre) e di quella dedicata alle persone che hanno lasciato questa terra con i loro corpi e le loro anime (Giornata dei defunti, due novembre) la mia riflessione si sofferma sull’apparente inaccettabilità della morte.

La letteratura ci insegna come questo tema sia sempre stato presente nelle narrazioni corali, a partire proprio dai poemi omerici, che celebrano la mortalità e le lotte degli eroi, la rabbia e il dolore per la perdita delle persone amate.

Rappresenta lo strazio per una perdita importante.

La sepoltura come rituale di un sonno eterno ed inspiegabile.

Ho sempre detto che la letteratura altro non è che l’espressione di quello che siamo, ovvero dei nostri sogni, delle nostre paure, delle nostre pulsioni.

Ed è proprio attraverso la letteratura che vediamo quanto la morte sia capace di sconvolgere la nostra realtà, quando ci tocca da vicino.

La morte, per noi mortali, vince sulla vita terrena.

Questo tema rimane un tabù nella quotidianità, un qualcosa da evitare, che cerchiamo di tenere il più lontano possibile. Prosperiamo nel benessere, in prospettiva di vivere una vita sempre più lunga, senza ricordare che, da un giorno all’altro, tutto potrebbe finire.

Questo è ciò che attende ognuno di noi, dal primo all’ultimo.

Ogni cosa ha un inizio ed una fine. Proprio per questo vale la pena viverla.

…Vivere una vita ricca di significato

Una volta ero in campagna e ho trovato un grappolo di pomodorini cresciuto in mezzo al nulla, tra le erbacce selvatiche e la ghiaia. Li ho raccolti. Erano buonissimi, maturi e succosi.

Un dono portato dal vento, così come la vita prospera anche in mezzo al nulla.

Chiunque abbia vissuto una perdita importante, sa che c’è un prima e un dopo. Che, all’apparenza, tutto sembra uguale, ma è profondamente diverso per chi lo vive dall’interno.

Andare avanti è un processo dovuto ed inevitabile, che comporta una presa di coscienza (e sofferenza) per chi rimane.

Ecco la mia:

vale la pena non sprecare la propria occasione, perché il tempo che tutti abbiamo è limitato.

Ogni istante che viviamo è davvero irripetibile. Non si ripeterà mai più in ugual modo nel corso dell’eternità. Mai.

Abbiamo bisogno di godere di una vita piena e ricca di senso, in cui ci sentiamo protagonisti e abbiamo uno scopo personale, e non di dover trovare un modo per riempire il tempo disconnettendoci da noi stessi. Soffocare la nostra interiorità riempiendoci di cose esteriori ci fa perdere la nostra vera voce.

Apprezzare ciò che abbiamo, in quanto la gioia non corrisponde al divertirsi ma all’essere.

Orientare i propri desideri verso il proprio benessere e non verso l’appagamento degli impulsi.

Saper godere della compagnia di se stessi e degli altri.

Saper accettare il proprio malessere e saper chiedere aiuto.

Saper dare nuovi stimoli alle proprie attività, determinando una relazione infinita tra se stessi e la vita.

Il senso non sta nelle cose che si esauriscono: le serie tv, i soldi, la bellezza, l’adolescenza. Sono solo dei palliativi per evitare di ascoltarsi e per evitare di andare a fondo ai propri bisogni.

Il senso di questi giorni è ricordare la bellezza di c’è stato e non sprecare la nostra occasione di avere una vita piena e ricca di significato.

Fuoritema: i dolci della ricorrenza

Questi sono i pupirati (poporati o peperati), dolci tipici della tradizione pugliese Sanseverese. Sono dei biscotti molto morbidi fatti col mosto cotto, il cacao, spezie e frutta secca, tipici di questo periodo. Venivano lasciati come dono per la commemorazione dei defunti, a forma di “pupi“, che passavano a trovare le famiglie nella notte tra il primo e il due novembre.

Rientrano sicuramente tra i miei dolci preferiti, adoro quelli di mia nonna e di mia zia.

Ho scoperto che in Lombardia c’è la stessa tradizione con il Pan dei morti… di sapore simile, fatti con vin santo, uvetta, frutta candita e pinoli.

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